Siti archeologici di Taranto (notizie principali)

Castello Aragonese

Durante le invasioni barbariche Taranto chiamò in suo aiuto un generale bizantino, Giovanni D’Otranto, il quale, quando si rese conto che Taranto priva di fortificazione e grande com’era non sarebbe stata facile da difendere, decise per proteggerla meglio di tagliare l’istmo.

Nell’880 il comandante delle truppe imperiali decise di fortificare la città, costruendo quella che sarebbe stata la prima parte del Castello Aragonese.

Con la sua costruzione quindi si cercava di fortificare la città, minacciata poi anche dalle invasioni dei Turchi e dalla Repubblica di Venezia.

Secondo il nuovo progetto approvato dal Re Aragonese, la fortificazione doveva comprendere sette torri: quattro, fatte a spese degli Aragonesi e unite fra loro a formare un quadrilatero, tre invece dovevano essere costruite a spese del Comune (si parla dell’Università), allineate lungo il fosso fino al Mar Piccolo.

Il primo Castellano, cioè il Crispiano, poiché i fondi per finire la parte aragonese del castello non erano sufficienti e i turchi minacciavano sempre di più, prima impose il dazio sulla pesca e poi di sua iniziativa ingrandì il castello.

Il castello assunse così la forma di un aquilone, ma per le lamentele del Comune al Crispiano fu tolto l’incarico di castellano.

La torri tonde e massicce furono così unite da cortine lunghe circa 40metri, risultando così alte 20metri e larghe 20metri.

Il castello era dotato di due uscite corrispondenti a due ponti, ai quali si collegavano mediante ponti levatoi.

Fu considerato finito nel 1492, come risulta da una lapide murata sulla porta Paterna (cioè quella che oggi è posta sopra alla porta che viene usata).

Sulla lapide vi è lo stemma degli Aragonesi ed è incisa una strofetta popolare usata in quel tempo per festeggiare la cacciata degli Angioini e l’arrivo degli Aragonesi.

All’interno del castello troviamo una cappella una volta dedicata a S. Maria, mentre nel cortile, posto allo stesso livello di città vecchia, furono sistemati gli alloggiamenti per i soldati e tra questi spiccava quello per il castellano, la cui porta fu chiamata Porta Reale poiché in quegli appartamenti soggiornarono Re ed anche Principi.

Ponte Girevole

Il suggestivo Ponte Girevole si può considerare il simbolo della città di Taranto; esso permette di collegare il centro storico, situato su di un’isola, con l’elegante Borgo. La sua particolarità sta nell’apertura: i due bracci ruotano in senso orizzontale e si accostano alle due opposte sponde per consentire il passaggio delle navi più grandi attraverso il Canale Navigabile che collega il Mar Grande al Mar Piccolo. Il ponte fu inaugurato nel 1887 ma fu poi rimodernato nel 1958.

Palazzo D’Aquino

Questo palazzo risale a fine ‘500.

All’interno nacque il poeta tarantino Tommaso Niccolò D’Aquino nel 1665.

All’interno di questo palazzo troviamo un cortile centrale, sul retro si trova un ampio giardino.

S. Agostino

Questa chiesa risale al 1402.

Per numerosi interventi di restauro, specie nel XVIII e nel XIX sec. D.C., fu completamente trasformata.

In questa chiesa è sepolto il poeta tarantino Tommaso Niccolò D’Aquino, avvenuta nella seconda metà del XVII sec. D.C. .

Il Convento di S. Agostino fin dal periodo napoleonico fu utilizzato per usi civili ed anche militari.

Palazzo Galeota

Questo palazzo fu costruito nel 1728, espressione dell’architettura napoletana, è impropriamente conosciuto come Palazzo Galeota, cioè dal nome della famiglia che o scorso secolo acquistò il palazzo.

Dagli archivi è emerso però che l’elegante palazzo barocco venne fatto costruire da Don Vincenzo Cosa, cononico della cattedrale di Taranto.

Nel giro di pochi anni infatti seppe accumulare una discreta fortuna e il palazzo venne quindi costruito per rendere visibile l’appartenenza dei Cosa all’aristocrazia.

Nella seconda metà del 700, dopo la morte di Don Vincenzo e di suo fratello Domenico, il palazzo passò alla famiglia Calò per poter saldare un debito.

Successivamente il palazzo passò alla famiglia Galeota.

Di Don Vincenzo e della famiglia Calò si perse poi la memoria.

Nel 1977 il Comune di Taranto, il quale acquistò palazzo Galeota, lo fece restaurare collocandoci la sede dell’Assessorato Comunale alla Cultura.

Santuario di Monte Oliveto

Il Santuario di Monte Oliveto – in cui si celebra il culto alla Madonna della Salute – sorge imponente in Piazza Monte Oliveto, già Largo di Gesù. La chiesa fu dichiarata santuario mariano nel 1936.
La facciata, d’impronta controriformistica, presenta due ordini sovrapposti, cadenzati da lesene con capitelli ionici nel registro inferiore e compositi in quello superiore. Nicchie e aperture alleggeriscono e movimentano il prospetto. Sul portale spicca lo stemma dell’Ordine domenicano posto nell’Ottocento.
La chiesa è a pianta centrale. Lo spazio interno si articola a croce greca, coronata in alto da un’ariosa cupola che esalta, nel gioco di luce e massa, il valore delle articolazioni portanti. L’interno è caratterizzato dalla potente cupola, con un diametro di circa 10 metri, che poggia su quattro arconi. L’altare maggiore è opera di Antonio di Lucca e del gesuita Galichio d’Amato (1751): si caratterizza per un notevole effetto pittorico con un motivo a calice intarsiato. Il primo altare a sinistra è dedicato a Sant’Ignazio di Loyola con relativa statua in cartapesta, seguono, nel transetto, la statua di San Francesco de Geronimo e l’altare del Sacro Cuore. Sul lato destro l’altare è dedicato all’arcangelo Raffaele. Proseguendo si giunge all’altare del Crocifisso, presso cui sono le statue di San Luigi Gonzaga e di San Giuseppe.

S. Andrea degli Armeni

La sua costruzione risale all’ XI sec. D.C., al tempo in cui un gruppo di Armeni si stabilì in quel sito.

Questa chiesa fu molto danneggiata da eventi bellici nel 1393 e poi ricostruita totalmente nel 1573.

L’elegante facciata ha delle proporzioni armoniche rinascimentali, secondo i canoni architettonici seguiti dall’Alberti, cioè da colui cha la riprogettò.

Palazzo Gallo

Questo palazzo risale al 600, con rifacimento in stile barocco.

In questo palazzo ci fu il ricevimento in occasione delle nozze di Maria d’Enghien, la quale era la vedova del Principe di Taranto, con Ladislao di Durazzo, il quale invece era il Re di Napoli.

Questo matrimonio avvenne 200 anni prima, quindi nel 400.

Palazzo De Notaristefani

L’antica casa palazzata cinquecentesca, che si affacciava sulla Strada Maggiore, era contigua ed

allineata con la casa dei Capreoli, con i quali i Notaristefani erano imparentati (nel 1683

Ferdinando sposò Isabella Capreoli), era strutturata su due piani con copertura a cannizzo e godeva

l’uso d’aria del caseggiato di fronte al palazzo ed aveva le sue rimesse, con varie cisterne d’acqua e

neviere, laddove oggi sorge un condominio a più piani.

Era dotata di un Oratorio privato e di una Cappella pubblica dedicata alla SS. Trinità sulla strada

Maggiore, costruita nel 1650 da Don Vitantonio De Notar Stefano, Priore della Chiesa Collegiata

di Massafra, Cavaliere dello Speron d’Oro e Conte del Sacro Palazzo Lateranense.

L’attuale palazzo è il risultato di diversi ampliamenti e ristrutturazioni a partire dal ‘700, quando fu

allargata l’antica casa palazzata fino all’attuale Via Vittorio Veneto e fu costruito il giardino

Tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 Don Lorenzino De Notaristefani costruì nel Borgo di S.

Caterina, nell’attuale Piazza Vittorio Veneto, un Villino particolare con le fattezze di un castello

fortificato su imitazione in piccolo del Castello di Miramare (Trieste) dell’arciduca d’Austria

Massimiliano d’Asburgo, che poi passò a Luigi Margherita ed infine ai Latorrata.

La famiglia possedeva diversi beni terrieri e masserie sparse per tutto il territorio di Massafra.

Nel Catasto Onciario del 1748-49 a carico dell’abate Vito Antonio ed Onofrio Notaristefani, fra i

maggiori proprietari terrieri di Massafra, oltre ad altri possedimenti, figurano le masserie di

Famosa, Colombata, Zaccagnino, Sant’Angelo, Parco di Guerra.

Membri della famiglia furono sacerdoti, come Don Vitantonio, Don Leonardo Antonio, medici,

come il Dott. Ferdinando De Notarstefano e molti ricoprirono la carica di Sindaco, come Stefano

Notaristefani (1631 e 1636), Ferdinando de Notario Stefano (1638-39), Ferrante (1670), Giovan

Lorenzo (1694), Baldassarre (1704) e Onofrio (1734).

La famiglia fu integrata nella nobiltà di Ravello il 15 Maggio 1764, godeva del trattamento di

“Don” e “Donna”, fu iscritta nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco Ufficiale Nobiliare

Italiano dal 1922.

Alcuni altri titolati della famiglia furono Don Ferdinando, primo Presidente di Corte d’Appello nel

XIX secolo, insignito del titolo di Conte Palatino, Don Raffaele, Procuratore Generale della Corte

di Cassazione, Grande Ufficiale dell’Ordine Mauriziano, Commendatore dell’Ordine della Corona

d’Italia, insignito del titolo di Cavaliere di Gran Croce, Don Michele, Commendatore dell’Ordine

della Corona d’Italia, Cavaliere Mauriziano, Consigliere della Corte d’Appello di Napoli e Don

Paolo, Procuratore del Re.

L’ultimo della famiglia massafrese fu il Barone Don Francesco (detto Ciccillo), Consigliere

Provinciale, indicato come “U Signurine”, che la domenica e nei giorni di festa dispensava

l’elemosina ai poveri davanti al portone del palazzo.

Il palazzo De Notaristefani ospitò vari personaggi illustri di tutta Europa e ai tempi della seconda

guerra mondiale fu sede del Comando Generale delle truppe alleate.

Gli ultimi discendenti della famiglia De Notaristefani risiedono a Napoli e a Roma.

Lo stemma nobiliare della famiglia De Notaristefani di Massafra è affisso sulla facciata della

Cappella della SS. Trinità ed è ripetuto sul fregio in ferro battuto che sormonta il portone d’ingresso

nel palazzo. E’ composto da tre stelle a triangolo con punta in basso, una cometa e tre lune crescenti

in fila verticale.

 

S. Cataldo

Non sappiamo l’anno in cui nacque S. Cataldo, sappiamo invece che visse ai tempi di S. Patrizio, del quale fu discepolo.

Colgan, storico irlandese, scrisse la vita di S. Patrizio, in cui troviamo che nell’elenco dei Discepoli di quest’ultimo S. Cataldo era al 129° posto.

Venne poi ordinato sacerdote e consacrato Vescovo da S. Patrizio tra il 435 e il 440.

Arrivato a Taranto S. Cataldo compì alcuni miracoli, tra cui quello di ricevere la vista attraverso una benedizione, dopodiché molti abbracciarono la Fede di Cristo.

La sua fama dei miracoli e della santità si sparse, molti pagani ed anche ariani passarono alla Fede Cattolica.

Tra i tanti monumenti eretti ricordiamo la Cappella che chiamò S. Giovanni in Galilea, dove fu sepolto dopo la sua morte per sua volontà, accanto alla Cattedrale che poi prenderà il nome di S. Cataldo.

La Cattedrale misura 84metri di lunghezza e 24metri di larghezza.

All’esterno i muri sono decorati da una serie di archetti a specchiature; la facciata antica, non più esistente, doveva presentare forme di figure geometriche, dove si aprivano tre portali.

Lungo le pareti laterali si aprivano altri due portali.

Nel XII sec. fu innalzato il campanile normanno, distrutto per un terremoto e sostituito nel 1952.

Sui tronconi ci sono due angeli che guardano il rettangolo del finestrone centrale sul quale c’è la statua in pietra di S. Cataldo.

In basso si trova il portale sulla cui trabeazione è incastonato lo stemma dell’Arcivescovo Stella.

Sulle due facciate laterali ci sono quattro nicchie contenenti le statue di S. Pietro, S. Marco, S. Rocco e S. Irene.

Il finestrone è contornato da ornamentazioni floreali ed affiancato da due colonne tortili.

All’interno c’è una navata centrale, due laterali ed una trasversale.

Nel XIII sec. lungo le navate laterali si aprivano altari e cappelle gentilizie, la più antica era quella dedicata a S. Agnese.

Alla sinistra dell’ingresso c’è la cappella dedicata a S. Giacomo.

Sul lato sud sorgeva la cappella di S. Marta, poi destinata a battistero.

La tradizione vuole che qui era situata la cappella di S. Giovanni in Galilea, nella quale sarebbero state rinvenute le spoglie di S. Cataldo.

Nella zona antistante la facciata, dove ora c’è il pronao, c’erano le tombe dei personaggi più illustri della città.

Sulla parete sinistra del pronao c’è una tela raffigurante l’ingresso di S. Cataldo a Taranto.

Sulla destra invece c’è un’altra tela in cui è rappresentato il Santo Patrono mentre resuscita un morto.

Le navate laterali sono coperte da un soffitto a capriate, mentre la navata centrale è adornata da un soffitto a cassettoni, composta da 48 riquadri tra i quali vi sono incastonate due statue lignee raffiguranti S. Cataldo e l’immacolata.

Il soffitto originale venne distrutto da un incendio nel 1635.

L’altare maggiore è sormontato da un cibario del 1652 sorretto da quattro colonnine cilindriche di porfido greche, sopra si apre la cupola centrale con affreschi.

All’interno dell’abside c’è il coro quattrocentesco nel quale ci sono tre tele: l’Adorazione dei Magi, l’Assunta, il Riposo in Egitto.

Sul pavimento ci sono frammenti di un mosaico del 1160; un disegno del 1844 mostra come questo prezioso tappeto in pietra fosse composto di tre parti: una mediana e due laterali.

La parte mediana cominciava con la rappresentazione della leggenda di Alessandro Magno; seguivano dieci tondi con figure.

Le due navate laterali comprendevano ciascuno una fascia di nove tondi con figure situate nel verso contrario rispetto a quelle della parte mediana, affinchè il visitatore dopo aver percorso la navata centrale e tornando da quella laterale potesse osservarle nel giusto verso.

Le iscrizioni inserite nel mosaico c’informano per la data di realizzazione, il committente e l’esecutore.

Il cappellone presenta due ambienti: un vestibolo quadrangolare e la cappella ellittica.

Il vestibolo corrisponde all’antica cappella del 1151, in cui c’erano le reliquie di S. Cataldo.

Sulla vecchia cappella ne fu costruita un’altra più piccola, in cui si trovavano le tombe dei Principi di Taranto.

La tomba del Santo è all’interno dell’altare in marmo, visibile attraverso una grata marmorea e finestrelle laterali, sopra c’è una nicchia contenente la statua argentea del Santo Patrono.

La cupola risale al1713, con scene della vita e dei miracoli del Santo.

Il cappellone di S. Cataldo è oggi il più grande vanto della città, considerato massima espressione del barocco pugliese.

La cripta, risalente all’età bizantina, presenta un impianto cruciforme; è diviso da due navate con colonne basse sormontate da lastre che fungono da capitelli, sulle quali poggiano le volte a crociera a sesto rialzato di epoca tarda.

Sulle pareti ci sono dei frammenti di affreschi del 200-300.

Sulla parete orientale c’è un sarcofago di fine XIII sec., sul quale un bassorilievo raffigura un defunto (una fanciulla) in ascesa, sorretta da due angeli.

Nel vano della cripta ci sono le tombe di alcuni Arcivescovi di Taranto.

S. Paolo

Questa è un’antichissima chiesa di rito greco, di cui restano però pochi ruderi.

Sorge su quella che un tempo era detta Strada Maggiore.

Verso il 1600 questa chiesa passò al Seminario Arcivescovile, il quale la utilizza come scuola.

S. Domenico Maggiore

La chiesa, già chiesa di San Pietro Imperiale, è una chiesa in stile romanico-gotico sorta nel 1302.

Sul sito sorgeva un Tempio greco di epoca arcaica, ricostruito in epoca classica e su cui nel corso dell’XXI sec. sorse la chiesa di San Pietro Imperiale in stile bizantino, la qualevenne abbandonata nel 1228.

L’attuale edificio venne costruito nel 1302 dedicato a San Domenico da Giovanni Taurisano, nel 1349 si insediarono i Padri Domenicani e la chiesa venne consacrata San Domenico di Guzmàn.

L’ingresso principale è raggiungibile con una scalinata barocca costruita alla fine del XVIII sec. , quando fu creato il Pendio San Domenico per collegare Via Duomo con la Parte bassa dell’isola.

La quarta e ultima cappella, all’interno della chiesa, è dedicata alla Madonna Addolorata ed è curata dalla Confraternita di Maria SS. Addolorata e San Domenico, l’altare è in stile barocco del XVII sec. e ospita la statua della Vergine Addolorata della 2^ metà del XVII sec. che viene portata in processione il Giovedì Santo.

Il culto della Madonna Addolorata fu introdotto a metà del XVIII sec. dal Canonico Abate Vincenzo Cosa, che donò la statua e la relativa “cassa delle robbe”.

Al 1872 risale l’inizio del pellegrinaggio della Vergine Addolorata, poco prima della mezzanotte del Giovedì Santo la processione dell’Addolorata esce dalla chiesa e durante il suo svolgimento i Confratelli avanzano nazzicando, formando un caratteristico corteo: troccola (strumento che rimpiazza il suono della campana e dà il passo alla procesisone), pesàre (coppia di bambini figli di contratelli che portano al collo una finta pietra), croce dei misteri (che porta attaccati i simboli della passione di Cristo), 15 poste (incappucciati), 3 crociferi (scalzi con una croce di legno in spalla), il trono, clero, simulacro della Madonna Addolorata (la statua portata da 8 confratelli, 4 in abito di rito detti sdanghieri, 4 in abito nero e papillon detti forcelle).

Palazzo Pantaleo

La sede di Rappresentanza dell’Amministrazione Comunale è ospitata nel palazzo appartenuto ai Baroni Pantaleo.

Questo è uno dei pochi edifici settecenteschi di Città Vecchia rimasti intatti, situato nella zona dove c’era l’antica porta.

Questo palazzo si presenta con una facciata dai balconi in ferro battuto che affacciano sul Mar Grande.

Palazzo Carducci Artenisio

Il palazzo, cha ha una superficie di circa 900metri quadri, fu costruito nella metà del XVII sec. da Ludovico Carducci – Artenisio.

Da tre secoli e mezzo è di proprietà della famiglia e continua ad essere la dimora dei suoi discendenti.

Di gran lunga numerose sono state le modifiche apportate all’edificio.

La facciata odierna fu rifatta nel 700.

Alla fine del secolo scorso anche l’accesso al piano nobile venne trasformato in stile Liberty.

Palazzo Carducci – Artenisio racchiude un salone di rappresentanza, decorato da medaglioni con i grotteschi del Fracanzano, da una collezione di quadri del 600, 700, 800, da una biblioteca con più di 6000 volumi.

Palazzo Latagliata

Sul lato della Città Vecchia che affaccia sul mare, abitato dai nobili e dal clero, notiamo un’interruzione nel profilo della palazzata.

Questo palazzo fu infatti edificato per la famiglia Buffoluti nella metà del 700, inglobando una serie di abitazioni ed espandendosi a danno del suolo pubblico.

I Buffoluti facevano parte della gente che contava, infatti a nessuno fu mai data la licenza per costruire di fronte al loro palazzo, cioè in Largo Buffoluto (oggi Latagliata).

E’ quindi l’unica costruzione alla quale sia stato consentito, interrompendo la cortina degli edifici che si affacciavano sulla Strada delle Mura, di godere dell’affaccio diretto al Mar Grande.

Palazzo Latagliata non è dotato di una corte interna centrale, a differenza di quanto avveniva nel XVII sec. .

Ad inizio 800, quando ormai la famiglia Buffoluti non esisteva più, passò ai Latagliata e divenne poi di proprietà comunale.

Palazzo Amati

Questo famoso palazzo affaccia sul Mar Grande ma l’elegante porta principale, con linee e motivi tipicamente settecenteschi, si trova sul lato opposto.

Fu realizzato attraverso una complessa opera di inglobamento di costruzioni preesistenti, come infatti quasi tutta l’edilizia residenziale aristocratica del 700.

Con le sue 37 stanze era sicuramente adeguata alle esigenze della famiglia di Giacomo Amati.

Nel 1869 il palazzo venne però tolto agli Amati, nobile famiglia romana.

Fu espropriato e in parte demolito dall’Amministrazione Comunale, la quale decise di abbattere le mura della città e di sistemare la Strada delle Mura (oggi Corso Vittorio Emanuele II).

Anche il prospetto del lato a mare fu modificato secondo il gusto tipico dell’architettura di fine secolo.

Dal 1899 Palazzo Amati è stato utilizzato come edificio scolastico.

S. Francesco

Questa chiesa sorge su Via Duomo, risale al XIII sec.

Lo stile è tardo – gotico, con forti immissioni di barocchetto per i lavori eseguiti verso la fine del 1600.

La sua fondazione è fatta tradizionalmente risalire allo stesso S. Francesco.

Dalla fine del periodo napoleonico fu adibita ad usi militari.

Abbazia di Santa Maria della Giustizia

Dalla fine del XVI sec. l’abbazia, con il trasferimento degli Olivetani nella città vecchia, inizia un lento declino.

Quest’abbazia fu saccheggiata e trasformata in masseria e dal 1960 perse il rapporto con il paesaggio, poiché è stata inglobata nell’area industriale.

La chiesa è suddivisa in due campate coperte da crociere costolonate impostate su gruppi di semicolonne.

Dalla prima campata si accede alla cappella cinquecentesca; sulla parete di fondo è collocato l’altare in pietra scolpita e dipinta.

Attraverso uno stretto passaggio ricavato al di sotto della scala di accesso al piano superiore del convento si accede all’androne posto al piano terra, voltato a botte.

Sulla parete di confine con l’androne l’hospitium conserva un dipinto ad affresceo, raffigurante il crocifisso fra l’Addolorata e i Santi Giovanni e Benedetto e recante le tracce di bruciature, testimonianza dell’incendio seguito all’ultimo saccheggio di cui parlano le cronache del XVI sec. .

Al piano superiore si accede attraverso una scala in carparo, sfociante in un vasto ambiente rettangolare che disimpegna le celle ed un vano più ampio, sovrapposto al presbiterio della chiesa angioina.

Attraverso una porta scolpita con motivi a rosette e recante il simbolo olivetano, si accede ad una scala che porta alle coperture della chiesa e all’antico campanile.

Sono state trovate, al di sotto della chiesa, delle cavità, probabili tombe di epoca greca, rilavorate nel medioevo per definire un possibile impianto di decantazione per la produzione di sale marino.

Si è ipotizzato che l’abbazia normanna era già frequentata in epoca antica, come infatti testimonia il materiale ceramico trovato.

Nei riempimenti dei rinfianchi  delle volte e in un butto dell’ala sud sono stati trovati manufatti maiolicati, cioè ciotole, piatti, brocche e tazza policrome.

Ex Casa del Fascio

Le Case del Fascio erano le sedi locali del partito fascista.

In tutta Italia e nelle colonie, dal 1932, ne furono progettate e realizzate ben 5000.

Gli architetti dell’epoca, in seguito ad un bando di concorso esteso a tutte le scuole di architettura italiane, si impegnarono in una gara nazionale alla ricerca di soluzioni innovative.

Dopo le sanzioni del 1935 si dovette tener conto della penuria di materiali d’importazione e dar luogo ad una ricerca di materiali alternativi.

Tutto ciò si svolse con il sostegno del regime di Mussolini che considerava l’architettura uno dei più efficaci strumenti di consenso.

L’ex Casa del Fascio di Taranto è una della meglio conservate: il salone di rappresentanza è un concentrato di simboli delle presunta potenza militare, del genio e della laboriosità del popolo italiano.

Tempio Dorico

Del grande Tempio Dorico, testimonianza dei fasti della Taranto antica, rimangono due colonne e la base di una terza, visibili nei pressi di Piazza Castello.

Qui sorgeva la chiesa della SS. ma  Trinità nel cui Oratorio, incastonata in una delle pareti, era visibile la parte superiore di una colonna antica, dimostrando l’esistenza di un tempio dorico.

La colonne , costruite con blocchi di carparo, facevano parte del colonnato settentrionale del monumento sacro.

Il Tempio, dedicato a Poseidone, il dio greco del mare, oppure ad una divinità femminile, era lungo 50metri e contava, quasi certamente, tredici colonne sul lato lungo e sei su quello corto.

La sua costruzione risale all’inizio del VI sec. a.C., rappresentante l’edificio più importante tra quelli visibili nella città vecchia di Taranto.

L’edificazione del Tempio sorse nel periodo di affermazione di Taranto nell’ambito della Magna Grecia, di cui fu capitale economica e commerciale; coincide anche con la sistemazione urbanistica di Taranto, con l’Acropoli nella città vecchia e la Polis nel borgo.

Museo Archeologico Nazionale di Taranto

Taranto vanta la presenza di uno dei più importanti Musei Archeologici su scala nazionale.

Il Martà, fondato nel 1887, occupa l’ex Convento dei Frati Alcantarini, edificato nella metà del XVIII sec. .

Al primo piano sono presenti reperti provenienti dalle necropoli del IV e del V sec. , le collezioni romane, greche e apule, alcuni ori di Taranto, i quali hanno dato gran rilievo e visibilità al Museo.

Attraverso il percorso espositivo è possibile conoscere la storia del capoluogo jonico e del suo territorio  grazie al loro sviluppo nei diversi periodi (preistorico, protostorico, greco, romano, tardo antico, medievale).

Nelle sale dedicate alla Taranto romana ci sono arredi scultorei, statuari e pavimenti a mosaico degli edifici pubblici e privati di età imperiale.

Concattedrale Gran Madre di Dio

L’architetto milanese Giò Ponti ha elaborato il progetto della Concattedrale di Taranto.

La facciata della chiesa rappresenta una enorme vela bianca; lo spazio antistante è occupato da tre grandi vasche d’acqua, in modo che l’enorme vela si specchi al meglio.

E’ un simbolo della città moderna e del suo profondo legame con la tradizione marinaresca.

All’interno può ospitare sino a tremila fedeli.

Fu dedicata alla Vergine Maria, protettrice della città con San Cataldo, patrono di Taranto, eretta tra il 1964 ed il 1970.

Gravine

Le gravine sono delle gole profonde nella roccia, scavate attraverso il corso dell’acqua di antichi fiumi.

La sua formazione risale a più di 60 milioni di anni fa, cioè all’Era Terziaria.

In queste oasi di natura si trova una vegetazione della macchia mediterranea, piante ed animali riescono a vivere un questo paesaggio.

Testimonianze della presenza dell’uomo risalgono alla Preistoria.

La civiltà rupestre si fa risalire al medioevo, troviamo infatti cripte affrescate e villaggi scavati nelle rocce.

La gravina di Laterza è tra i più grandi Canyons di Europa, si snoda per 12km. ed è la più lunga, larga e profonda delle gravine pugliesi.

All’interno di questa troviamo boschi di fragno, specie vegetali scomparse altrove, come l’acero minore, l’euforbia arborea, la silvia triloba, la campanula pugliese, il dente di leone e la fillirea.

Si possono avvistare animali come gechi, ululoni dal ventre giallo, istrici, tassi, ricci e grandi rapaci.

Processione dei Misteri

Dal 1765 a Taranto si celebra la processione dei Misteri, a cura della confraternita del Carmine e con la partecipazione del clero.

I simboli e le statue sono portati da perdoni (perdune) coronati di spine per tutta la sera fino al mattino seguente.

La processione viene aperta dal troccolante che veste l’abito dei perdoni. Seguono, a viso scoperto, il gonfalone della confraternita, la Croce dei Misteri con il simbolo della Passione, le statue dei Misteri (in cartapesta) che riproducono episodi della crocifissione di Gesù.

Tra una statua e l’altra ci sono singoli (poste) o anche coppie di perdoni incappucciati; ci sono poi carabinieri e guardie in alta uniforme. I portatori e le poste procedono con un’andatura dondolante, chiamata nazzecàta (da nazzecàre: cullare).

Per i Misteri il privilegio di portare troccola, simboli e statue si conquista con una gara o asta in denaro che si svolge nella chiesa del Carmine nel pomeriggio e alla sera della Domenica delle Palme. I confratelli del Carmine (che nell’occasione pasquale sono detti perdoni) sono scalzi e indossano un cappuccio di tela bianca a forma piramidale che copre interamente il viso (tranne due fori per gli occhi)  pendente sul petto, un cappello nero circolare bordato con nastro blu chiaro e dai cui lati scendono a convergere sul petto altri due nastri blu, una mozzetta di lana bianca, dei guanti bianchi, un lungo camice di tela bianca, una corona di rosario con medaglie sacre e cinghia di cuoio legate alla cinta e pendenti l’una sul fianco destro e l’altra sul sinistro, due grandi scapolari con le scritte Decor e Carmeli ricamate in seta blu chiaro.

Ognuno dei due perdoni porta, rispettivamente, nella sinistra e nella destra, una mazza alta circa due metri che simboleggia l’antico bastone dei pellegrini. Oltre al rito professionale i perdoni svolgono anche le funzioni di adorazione e di guardia al Sacramento, posto nell’urna dei Sepolcri allestiti nelle chiese di Taranto. Nei loro percorsi attraverso le vie cittadine, quando si incontrano o si danno il cambio ai Sepolcri, si salutano con un profondo inchino (“u salamelicche”) e si portano al petto la corona del rosario.    

 

MUSEO DEL PRINCIPATO DI TARANTO “MARIA D’ENGHIEN”

Il Museo  Medievale “Maria d’Enghien” è un contenitore importante per la conoscenza della storia del Principato di Taranto (XI-XV sec.).

Il museo, articolato su più livelli, ospita, fra l’altro, una riproduzione fedele di alcune botteghe artigiane del ferro e del cuoio.

MUSEO ETNOGRAFICO “MAJORANO”

Alfredo Majorano, nato a Taranto nel 1902, fu un operatore culturale molto legato alle tradizioni della sua terra; si dedicò con costanza e passione al recupero degli oggetti, della memoria, della lingua, e delle tradizioni cittadine, che fece conoscere con pubblicazioni, specie nelle terze pagine di quotidiani e riviste. Organizzò mostre e convegni, e da qui che nascerà l’idea ed il progetto del Museo Etnografico a lui intitolato.
Il percorso museale si articola in 5 sale: la prima illustra la figura e l’opera di Alfredo Majorano, oltre ai Riti della Settimana Santa; inoltre, si può ammirare un plastico della Città Vecchia.
Nella seconda sala sono rappresentati i giochi popolari di una volta. Nella terza sono documentati gli aspetti della ritualità magico-religiosa (tarantismo e devozione popolare per alcuni Santi). La quarta sala raccoglie documenti sugli antichi lavori nella Provincia di Taranto: dalla pesca al lavoro dei campi, alla pastorizia, alla produzione di formaggi, vino ed olio. Nella quinta sala il tema è la devozione religiosa nel periodo natalizio a Taranto e Provincia.
Il museo presenta inoltre una interessante collezione di ceramiche di varie epoche, prodotte a Grottaglie e a Laterza.

MOSTRA PERMANENTE STORICA ARTIGIANA

DELL’ARSENALE MILITARE MARITTIMO

La mostra storico-artigiana dell’Arsenale Militare Marittimo comprende una ricca collezione di materiale di interesse storico militare e bellico relativo alla prima e alla seconda guerra mondiale e di modellini di navi ed opere d’arte realizzate dagli operai dell’arsenale.Ci sono i piani di costruzione delle navi; la prima fu l’incrociatore corazzato Puglia che fu varato nel 1898 (oggi al “Vittoriale”, sul lago di Garda); poi decine di cimeli di sicuro interesse storico, come un siluro a lenta corsa, il “maiale”. Desta curiosità la lamiera dello scafo del Giulio Cesare con lo squarcio di un proietto incassato durante la Battaglia di Punta Stilo. Ma questa è soprattutto una mostra “artigiana”, una collezione di oggetti che forse non hanno un valore “storico” assoluto, ma che hanno il pregio di mostrare la maestria raggiunta dai lavoratori dell’Arsenale; tra questi capolavori di artigianato, una enorme polena.

MUSEO METEOROLOGICO E SISMICO “LUIGI FERRAJOLO”

L’Osservatorio, fondato nel 1892 dal Prof. Luigi FERRAJOLO, nel corso della sua secolare esistenza ha fatto parte del servizio meteorologico dell’ Aeronautica Militare fino al 1968. Dal 1969 ad oggi è diventato un ente civile mediante un atto di convenzione stipulato nel lontano 1970 tra l’Istituto Nazionale di Geofisica di ROMA (Rete Nazionale Sismica), l’Amministrazione Provinciale di TARANTO e il Comune di TARANTO. L’Osservatorio possiede dati meteorologici secolari e apparecchi meteorici-sismici antichi ed è attualmente in collaborazione coi seguenti enti pubblici:

  • Ufficio Centrale di Ecologia Agraria di ROMA (Servizio Agrometeorologico – Rete Nazionale)

  • Istituto Nazionale di Geofisica di ROMA (Rete Nazionale Sismica)

  • Enti pubblici locali, provinciali e regionali.

In via Duomo è possibile visitare questo piccolo ma interessante museo; qui potrete ammirare gli antichi strumenti utilizzati nella stazione meteorologica di Taranto per il rilevamento delle condizioni meteo e per la registrazione degli eventi sismici. Gli strumenti risalgono ai primi anni del XX secolo. L’appassionato direttore, prof. Vittorio Semeraro, vi condurrà alla scoperta di questi apparecchi collocati in un antico palazzo del centro storico.

RISERVA REGIONALE NATURALE ORIENTATA “PALUDE LA VELA”

E’ una palude con canneto e macchia mediterranea circondata da una pineta. L’estensione è di 7 ettari. Le piante più diffuse sono la salicornia e la salsola; la pineta è composta da Pini d’Aleppo. Vi è un capanno per l’osservazione dell’avifauna presente: aironi, garzette, spatole, tuffetti, piro-piro, cavalieri d’Italia, chiurli, volpoche, avocette e il falco pescatore.

MUSEO DEL CINEMA CURATTI

Sito in via Toscana n. 16, questo piccolo ma interessante museo raccoglie manifesti di centinaia di film, vecchie pellicole, proiettori a manovella che risalgono ai primi anni del ‘900, quando il piacentino Giuseppe Curatti si trasferì a Taranto.
Un salto indietro nella storia del cinema, ripercorrendo l’evoluzione tecnologica che ha portato alla cinematografia attuale.

MUSEO DIOCESANO

Il 6 maggio 2011 si è inaugurato il Museo Diocesano di Taranto, nel palazzo dell’antico Seminario, in città vecchia.
Un ulteriore tassello nell’offerta turistica della città, nato dalla precisa volontà della Curia tarantina.
Oltre a preziosi oggetti di arte sacra ed antichi paramenti, il museo espone tele e sculture di soggetto religioso.

Chiesa dei Santi Medici

Dedicata ai Santi Medici (Cosma e Damiano), la chiesa è la più piccola della città. L’edificio fu eretto intorno al 1379, ed è situato nel borgo antico, nella caratteristica Via di Mezzo. E’ da secoli il luogo di culto, in cui molti fedeli si recano per ottenere una grazia dai santi titolari. Cosma e Damiano erano gemelli di origine araba che esercitavano gratuitamente la medicina in Cilicia: subirono la tortura e il martirio durante le persecuzioni di Diocleziano del IV secolo e divennero i santi protettori dei medici e dei farmacisti.
L’edificio presenta un’architettura semplice: si ritiene che esso, pur essendo stato modificato e restaurato nel Sei-Settecento, sia poco diverso da quello originario., La chiesa attuale è il risultato di una serie di modifiche e restauri intervenuti fra il Seicento e il Settecento. L’interno contiene: un pregevole dipinto sull’altare maggiore, che rappresenta la Vergine di Costantinopoli col Bambino, attorniata dai Santi medici; un dipinto ottocentesco degli stessi e due belle statue in legno, sempre dei Santi Cosma e Damiano.

Monastero di San Michele

Il Monastero di San Michele, detto anche delle Cappuccinelle, sorge all’inizio di Via Duomo. Fu voluto dalla nobile famiglia dei Protontino per le “povere orfanelle native di Taranto, figlie di buoni cittadini, nate da legittimo matrimonio”. I lavori ebbero inizio nel 1713 e andarono un po’ per le lunghe: comunque, nel 1763, il Monastero fu occupato da due monache clarisse e da dieci orfanelle. Dopo l’unità d’Italia, l’edificio fu più volte rimaneggiato ed ebbe varie destinazioni, divenendo via via convento di clausura, caserma dei Carabinieri, scuola, alloggio di ufficiali dell’esercito, ufficio postale.
La struttura esterna presenta linee severe e rigorose, estranee ai preziosismi tipici del Settecento. L’elemento architettonico più rilevante è il Chiostro quadrangolare – con archi a pieno sesto – intorno al quale si dispongono le celle dei piani superiori, i locali di servizio e quelli destinati alla vita comunitaria.
La chiesa ha pianta rettangolare, e presenta una navata unica, coperta da tre volte arricchite da stucchi. Le pareti presentano tre arcate cieche per lato, delimitate da quattro pilastri dorici. Il presbiterio, limitato da una notevole balaustrina in marmi policromi, conserva all’altar maggiore una secentesca statua dell’Immacolata.
Attorno al Monastero sono fiorite importanti Confraternite, tra cui la “Confraternita della Santissima Trinità dei Pellegrini” e la “Confraternita dell’Immacolata concezione di Maria Santissima”.

 

 

 

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